La Festa Bella

A Spelonga, ogni tre anni si svolge una manifestazione nella quale tutta la popolazione celebra la “Festa Bella” per ricordare la battaglia di Lepanto: nella piazza del paese, antistante la Chiesa di S. Agata, viene ricostruita la sagoma di una nave, con un altissimo albero maestro sul quale svetta una copia della bandiera turca che secondo la tradizione fu riportata in paese più di quattrocento anni fa.

La manifestazione, si svolge durante tutto il mese di agosto; all’inizio dell’estate un gruppo di esperti boscaioli spelongani si reca nel Bosco del Farneto, sui Monti della Laga, (fino a qualche anno fa ci si recava nel ben più lontano Bosco di Maltese) per scegliere e poi tagliare un grosso albero, della lunghezza di 25/30 m. che diventerà l’albero maestro della nave.

Dopo il taglio l’albero viene ripulito di tutti i rami, “squadrato” alla base e preparato per il suo trasporto.

Nei primi giorni di Agosto, un centinaio di uomini di tutte le età lascia il paese per recarsi al Bosco del Farneto; questo è uno dei momenti più significativi ed emozionanti dell’intera manifestazione, che segna l’inizio della Festa Bella: a mezzogiorno in punto dopo un lungo suono di campane che chiama a raccolta tutto il paese, la popolazione saluta, nella piazza, coloro che partono per il bosco.
Alla partenza, le donne offrono il cibo e le vivande, (precedentemente preparati) agli uomini che staranno in montagna per tre giorni; tutti si abbracciano, si baciano, proprio come, molto probabilmente, avvenne per i 150 spelongani, che con un stato d’animo ben diverso partirono per la battaglia nel 1571.

Giunti al Bosco del Farneto si organizzano le manovre per il trasporto: tutti i presenti guidati da un Caposquadra si dispongono a coppie lungo i due lati del fusto; ogni coppia fissa in profondità, sulla linea dorsale del tronco, un elemento metallico detto “crucche” inserito in un anello di ferro ove si infila una corda molto corta a sua volta legata ad un paletto di legno (“la Stanghetta”) posto trasversalmente all’asse dell’albero.
L’azione contemporanea delle sole braccia di tutti gli uomini delle “coppie”, sulle “Stanghette” al grido di “Oh Forza” ritmato dal Caposquadra, fa sì che il tronco (del peso di diverse decine di quintali) giunga fino al paese.

Dopo tre giorni, la domenica successiva, sempre a mezzogiorno e sempre con il lungo suono a distesa delle campane l’albero entra trionfalmente a Spelonga; l’atmosfera è gioiosa e di festa perché, ancora una volta così come avviene da secoli, si è portata a compimento una fase molto impegnativa e particolarmente faticosa.
Nei giorni successivi tutto il paese partecipa alla preparazione dell’albero che sempre a braccia e con il solo ausilio di funi (con funzione di tiranti) e scale (poste a sostegno e spinta) viene issato al centro della piazza, e in alto vi viene issata la copia della bandiera turca.

Tutt’intorno all’albero maestro viene allestita, con legno e rami di abete, la sagoma di una galea che ricorderà per tutto il periodo della festa e fino alla prima domenica di ottobre, lo storico evento.
Negli stessi giorni tutto il paese viene addobbato a festa con decorazioni e realizzazioni varie impiegando principalmente rami di abete.

Terminata questa fase si susseguono varie iniziative e festeggiamenti per tutto il mese di agosto.
Tra queste manifestazioni vi è sempre stata la declamazione di poesie da parte poeti popolari che improvvisano e recitano in pubblico le loro poesie in ottava rima (il cosiddetto “canto a braccio”). Questa tradizione, scaturita dalla felice congiunzione della popolare creatività “orale” con la “grande” poesia cavalleresca, si è praticamente conservata intatta fino ai giorni nostri e la ritroviamo ancor oggi nelle campagne laziali, toscane, e abruzzesi.

Ricordiamo una famosa ottava che Francesco Casini, (nato il 30 marzo 1904 a Poggio D’Api -RI-), dedicò alla Festa Bella:

Un inchino farei alla Bandiera
e del soldato le gelide ossa
io bacerei con calda preghiera;
ma credo che ignorata sia la fossa.
Ei si scagliò sulla nemica schiera
incitando i cristiani alla riscossa:
un labar ei strappò con la vittoria
per dare alla Spelonga onore e gloria.

La particolare atmosfera che si coglie a Spelonga nei giorni della Festa Bella, è il prodotto di un impegno di tutta la popolazione fatto di partecipazione corale, di una gioiosa festività, ma anche di devozione, di impegno, di fatica e di spirito di sacrificio; questa originalissima dimensione, che ha sempre fortemente caratterizzato l’evento purtroppo, inevitabilmente, è stata in parte sminuita dal veloce incalzare dei forti mutamenti della società e del costume e soprattutto dalla dilagante proposta di banali modelli culturali di riferimento che caratterizza i nostri tempi.

Questa “particolare atmosfera” si rivive pienamente rileggendo l’articolo “-Corrispondenze- Una tradizionale festa a Spelonga” apparso sul giornale provinciale “Vita Picena” il 5 settembre 1936 a firma C. Giuseppe, dove appunto si dice:
“Fra le tante feste religiose che in ogni periodo dell’anno, si possono ammirare nei paesi di montagna facenti corona alla vetusta rocca d’Arquata, una ve nè, la quale, per la poesia e la fede con cui si prepara e si svolge, rispetto alle altre, presenta dei particolari e propri rilievi.
…grandissima è la venerazione che gli Spelongani nutrono per la Madonna della Salute. Tutti quegli atti costituenti per ogni individuo un punto di arrivo o di partenza nell’aspro cammino della vita è consuetudine per essi compierli sotto il suo amorevole sguardo.
Ogni anno, nella seconda decade di settembre [ora la festa è in agosto] si tributano a Lei onori fatti di fede e semplicità; ogni triennio tali onori si trasformano in una vera solennità.
Una settimana prima della triennale ricorrenza incominciano i lavori di addobbo di tutto il paese. Uomini e donne piccoli e grandi fanno a gara per fornire il materiale necessario per detti lavori. Basti dire a dimostrazione di questo entusiasmo, che per procurarsi il verde ed un genere di pianta chiamata “zezzera” le cui foglie hanno il riverbero dell’argento, si fanno chilometri e chilometri per sentieri sassosi ed inusitati;
…mentre i lavori di addobbo fervono in paese altri volenterosi pensano a preparare…il trave, il quale lungo dai ventisette ai trenta metri, come un’aspirazione d’infinità dovrà ergersi sulla piazza maggiore prospicente la chiesa.
Di tale lunghezza una trave si potrebbe prendere anche nei boschi più vicini all’abitato: ma si preferisce andare lontano, molto lontano per dare all’opera un senso di più alto significato, per dimostrare, quasi inconsciamente, di che cosa è capace l’anima popolare, la quale, sempre ed ovunque sa raggiunger il massimo dell’ingenuità e dell’ardore.
Per il trasporto ci pensano i giovani. Muniti di corde e di grappe, trenta o quaranta coppie di essi si avviano, la sera del Mercoledì, per gli impervi luoghi ove già ripulito e messo a punto, il lungo palo li attende ad ardue fatiche. E’ notte alta quando esso, a guisa di serpe, incomincia a muoversi. I muscoli si tendono, i piedi si puntano con vigorosa tenacia ad intervalli regolarissimi nel profondo silenzio di ogni voce risuona il grido do “Oh Forza”!…del caposquadra. In certi punti è impossibile procedere in modo usuale. Sono pendii, sono paurosi scoscendimenti in cui è giocoforza aggrapparsi all’arida erba e andare avanti di palmo in palmo con i ginocchi: un momento di disattenzione potrebbe costituire qualche serio pericolo.
E’ passato già da tempo il mezzogiorno quando si arriva in vista delle prime case, momento di emozioni profonde…
La strada che dà sulla piazza è letteralmente assiepata di persone, le campane danno il loro festoso saluto, scoppi di mortaretti ed un lieto grido.
Per il giorno della vigilia tutti lavori sono terminati. E quando verso il crepuscolo il concerto bandistico fa ingresso nel paese, si trova a passare sotto una galleria in cui il verde, l’argento, il rosso e l’azzurro si confondo in una bellissima policromia: sotto torri e torrette ricamate con i più artistici disegni e con i più bei nomi di Maria.
In piazza gli occhi corrono istintivamente in alto verso dove una bandiera tricolore, simbolo di fede, di speranza e di amore, lieta garrisce al vento.
La festa è iniziata…”

Autore: Dario Nanni